Un passato nell’arte – musica lui, pittura lei – e un presente con le mani nella terra, senza disperdere l’eredità delle vite precedenti ma impiegandola in questa. Un approccio olistico che in parte si rifà ai principi della biodinamica, in parte dipende da un’attitudine personale, guidata da uno sguardo orizzontale capace di armonizzare principi, passioni e istinto imprenditoriale. Questo alla base di CulinaryGardeners, progetto nato a Modena una decina di anni fa.
La storia
Un anno in India con una Ong impegnata nella ricostruzione post tsunami ha segnato il punto di non ritorno per Davide Rizzi e LorenaTurrini: da quell’esperienza estrema, intensa e durissima, capiscono che è arrivato il momento di cambiare vita. Nasce l’esigenza di un contatto diretto e appagante con la natura e la voglia di creare qualcosa di più autentico. Si accostano all’agricoltura e scelgono la biodinamica come strada maestra “per dare vita a prodotti più sani e nutrienti, che poi è lo stesso motivo per cui Rudolf Steiner, negli anni ’20 del ‘900, ha inventato la biodinamica: perché c’erano problemi con la qualità dei prodotti. C’era bisogno di cibi che potessero dare migliore sostegno alle persone” spiega Davide. Un concetto che loro amplificano: “Puntiamo a dare un buon nutrimento non solo per il fisico, ma anche per lo spirito: vedere cose belle, stare in un ambiente sano, creare giardini armonici; la bellezza influenza la qualità della vita, del lavoro e del cibo che questo produce”. Nel loro progetto – e in coincidenza con le teorie steineriane – l’agricoltura è passaggio verso la natura e la bellezza, in un percorso che mira all’armonia come relazione tra le cose. “Iniziammo a frequentare il mondo che gira intorno alla biodinamica, andammo a imparare da chi già faceva agricoltura secondo questo modello. E ci si apre un mondo”. Quello dell’incredibile rete che collega discipline apparentemente lontane. E a un certo punto, si ritrovano agricoltori. Il primo incarico è in un relais nel senese “da lì è partito tutto”.
Il lavoro con le aziende turistiche o agrituristiche
L’obiettivo era riorganizzare l’orto, creare un luogo bello, migliorare la qualità e la quantità dei prodotti impiegati nelle cucine del ristorante. O meglio dei ristoranti: quell’albergo di charme, il Borgo Santo Pietro, ospita il ristorante Meo Modo (Due Forchette per il Gambero Rosso e Stella Michelin) ed è cugino stretto della Bottega del Buon Caffè di Firenze (altro Due Forchette e Stella), della stessa proprietà. Le cose vanno bene, il passaparola fa conoscere loro e quello strano lavoro da agricoltori e consulenti agricoli al servizio dei cuochi. I loro clienti sono in gran parte strutture ricettive, per le quali creano degli orti non solo funzionali, ma così belli da diventare parte integrante dell’offerta turistica: “Organizziamo visite guidate alla scoperta dei prodotti dell’orto, in cui facciamo conoscere e assaggiare gli ortaggi. Talvolta la visita all’orto fa parte dei corsi di cucina della struttura”, in cui prima di imparare a cucinare, si impara a scegliere i prodotti e fare la spesa. L’attitudine didattica, mai verbosa, è quella che punta a valorizzare l’unicità della cucina italiana a partire dai suoi giacimenti agricoli.
Farm to table
La loro è una figura nuova, e la novità sta in quel puntare alla migliore ristorazione secondo il principio del farm to table, nel farlo con uno sguardo moderno e imprenditoriale (ma senza rinnegare un ideale di sostenibilità ad ampio spettro), nell’avere la bellezza come punto fermo e nel considerare le implicazioni gastronomiche della loro attività agricola.“A volte è il cuoco a chiederci qualcosa che vuole cucinare, spesso siamo noi a suggerire o far scoprire un prodotto che poi darà vita a un piatto”. In questa funzione di raccordo tra la terra e la tavola, è fondamentale che i prodotti siano al massimo delle loro qualità e che chi li usa sappia valorizzarle nei piatti. Anche avere prodotti non standardizzati è importante, perciò cercano varietà poco comuni o addirittura nuove, create ad hoc. Così cambia la figura del contadino nel terzo millennio. “Anche si parla molto di materia prima e si cerca maggiore qualità, il ruolo del contadino è ancora secondario, occorre portare in primo piano le competenze degli orticoltori che collaborano con gli chef”. E che sanno dare un’ossatura teorica al loro lavoro.
Arte in orto
Per certi versi lavorano alla stregua di architetti paesaggisti, “facciamo consulenze su come costruire orti basati sulla bellezza, su come nutrire anche la vista e lo spirito, cerchiamo di sensibilizzare i clienti”, arricchiscono di sculture i terreni agricoli progettati secondo precisi criteri estetici, quasi a creare spazi di contemplazione in cui bello e buono intrecciano i loro confini; merito dalla varietà delle piante, diverse per colori e forme, oltre che gusto. È un po’ la sintesi delle loro vite, quelle passate e quelle presenti, che si trovano in una relazione circolare, come nella migliore concezione olistica. Del loro percorso di musicista e pittrice rimane l’amore per l’arte, così i loro progetti nel verde includono anche l’organizzazione di concerti e sessioni di musica per le piante, happening di pittura estemporanea, visite guidate, “siamo andati verso la natura, la bellezza e l’armonia”. Sembra un gioco di parole: arte in orto.
La banca dei semi
“Per capire cosa coltivare in un posto bisogna conoscerlo bene” spiega Davide, che parla di clima, terreni, ma anche astronomia “le parole pianta e pianeti hanno una matrice simile, e non solo in italiano: evidentemente c’è una relazione nota già nell’antichità” aggiunge. Hanno una banca dei semi che conta circa 1700 varietà: “quando viaggiamo per il mondo, ne riportiamo sempre qualcuno. Proviamo a vedere se si acclimatano, e spesso abbiamo risultati positivi”. Un esempio? Lo spinacio rosso o verde del Malabar, “che non è uno spinacio” o gli alchechengi di vari gusti e colori. “Prodotti qui sono molto meglio: quelli importati non sono raccolti a piena maturazione perché poi devono fare un lungo viaggio fino alle nostre tavole”. Con un enorme impatto sull’ambiente e sui costi dati dallo stoccaggio e dal trasporto. Da questi semi se ne generano altri: “in biodinamica i semi rinnovati sono migliori e più forti, c’è molto lavoro prima di distribuirli alle aziende con cui lavoriamo: a volte anche 3 o 4 anni per rigenerarli, stabilizzarne i caratteri e migliorare la loro adattabilità al nostro territorio”. Di volta in volta si scelgono i migliori, e quelli più adatti per ogni orto. Tutto questo va ad ampliare il vocabolario di sapori cui gli chef possono attingere. Perché l’attività di è sempre rivolta a creare patrimoni gastronomici sani, buoni, nutrienti. E anche vari. “Ogni ortaggio nuovo è un arricchimento del menu” .
A chi si rivolgono
Davide e Lorena ristrutturano orti e terreni agricoli, consigliano cosa coltivare, suggeriscono modifiche per migliorarne la salubrità e la produttività dei terreni, la varietà delle specie coltivate, la bellezza dei luoghi, sempre a partire da un approccio biodinamico. Ci sono le strutture turistiche e agrituristiche che vogliono ottimizzare i loro spazi, aumentando la varietà, quantità e la qualità dei loro raccolti puntando al massimo di sapore, valori nutrizionali, bellezza;migliorare il rapporto con la cucina; trasformare l’orto in una attrazione per la clientela. “Si rivolgono a noi anche aziendeagricoleche vogliono passare a un tipo di agricoltura più sostenibile” aggiunge Davide “e che così, contando su un raccolto di qualità e quantità maggiori, possono rivolgersi a un certo tipo di ristorazione”, quella blasonata che vuole prodotti non standardizzati. Sempre stati impegnati sui terreni di altri non hanno mai prodotto in proprio,“non abbiamo mai avuto neanche il tempo, ma nulla vieta di farlo in futuro”. Per ora comincia la vendita di prodotti a loro marchio, con un mix di spezie.
La ricerca
Il prossimo anno li vedrà a Ibiza, in due importanti strutture turistiche. Nell’isola riprenderanno le loro consulenze che integrano agricoltura, cucina, innovazione ma nel frattempo, in quello che si potrebbe definire un anno sabbatico, Davide e Lorena portano avanti un lavoro con un istituto di ricerca, per studiare nuove varietà migliorate. Insomma, invece che cercare varietà antiche, come accade sempre più spesso, puntano a crearne di nuove capaci di rispondere ad alcune esigenze attuali: “grano senza glutine, o piante che resistano alla siccità, che come abbiamo visto nei mesi scorsi ormai è il nemico da sconfiggere”. Poi ancora migliorare la produttività di alcune colture e lavorare al disinquinamento di terreno, acqua, semi e aria. “Dove c’è inquinamento l’agricoltura non va” spiega Davide “e anche nella conversione al biologico, dopo i 3 anni previsti, rimangono residui chimici. Noi proponiamo un’alternativa al biologico, stiamo avendo risultati più in fretta e in modo completamente pulito, senza alcun uso di chimica, con diserbanti che non sono veleni, tanto che potresti anche berli”. La creazione di piante nuove, sempre nel rispetto della natura e dell’ambiente, apre un ulteriore potenziale per il mercato della ristorazione: i cuochipossono costruire menu potendo contare su ortaggi nuovi, praticamente tailor made. Senza mai uscire dal recinto della biodinamica. “Il nostro primo obiettivo è lavorare sulla qualità” ma in modo non ottuso, aperto alle esigenze dei giorni nostri e quelle di un mercato ancora vergine.
http://www.culinarygardeners.com/
a cura di Antonella De Santis